“SCRIPTUS PER ME …”
Una selezione di sottoscrizioni di copisti dai manoscritti della Biblioteca comunale degli Intronati
Prima dell’invenzione della stampa l’attività di copia dei manoscritti era legata alla figura del copista. Il colophon, o sottoscrizione, termini di norma usati indifferentemente come sinonimi, è il breve testo con cui lo scriba conclude il proprio lavoro di trascrizione: poche parole per lasciare una traccia di sé.
La consuetudine di dire qualcosa di attinente alla propria personalità o alle condizioni materiali in cui svolge il lavoro di copia, sottolineando la fatica dello scrivere, è un fenomeno osservabile lungo tutta la storia del libro manoscritto.
Frequentemente il colophon consiste in una breve formula di chiusura del testo con cui vengono trasmessi pensieri e stati d’animo; in altri e numerosi casi la sottoscrizione è concepita dallo scriba in maniera libera e indipendente, dichiarando ciò che in quel momento egli ritiene opportuno. Le informazioni offerte sono molteplici: indicazione del momento e del luogo della copia, del proprio nome, di alcuni dati biografici personali. È anche possibile che l’amanuense richiami vicende relative al momento storico in cui opera, non di rado chiede una ricompensa spirituale o materiale.
La sottoscrizione può essere variamente organizzata: a volte è introdotta o scandita da segni di paragrafo, oppure si presenta in lettere di modulo maggiore rispetto al resto del testo, può essere arricchita con motivi decorativi, oppure scritta in inchiostro colorato.
Identità dei copisti
Nell’Alto Medioevo i copisti appartengono ad ambienti religiosi, operano nell’anonimato in scriptoria collettivi all’interno dei monasteri dove il lavoro di copia, attività avvolta da un’aura di sacralità, è svolto come obbligo (talvolta come punizione), è un esercizio spirituale. I colofoni si caratterizzano per il contenuto esclusivamente religioso; le parole con cui lo scriba chiude la trascrizione sottolineano la fatica del lavoro di copia, nell'ambire al premio ultraterreno, quello della vita eterna. A malapena il copista menziona il proprio nome: quando si tratta di un monaco, affidare il proprio ai posteri è un segno di immodestia, pena la perdita del merito e della ricompensa spirituale. Qualora il monaco decida di apporre il proprio nome, sente anche la necessità di aggiungere che è un peccatore, un monaco indegno.
Con il tempo l’attività di copia non è più solo appannaggio dei religiosi: sulla scena dei produttori e dei fruitori della scrittura si affermano altre figure di scriventi. Il copista diventa un professionista, un artigiano della scrittura: si moltiplicano i copisti laici e a prezzo; inoltre compare il “copista per passione”, una persona che decide di scrivere da sé i libri che desidera leggere e possedere. Sotto questa etichetta sono accomunate figure diverse tra loro: l’intellettuale che si dedica all’attività di copia per ampliare la propria biblioteca personale; alcuni sono artigiani o mercanti, magari con scarse competenze grafiche, altri sono acculturati, come gli studenti, i professori universitari, che cercano e copiano i testi per i loro interessi specifici. Tra gli scriptores tardomedievali, altre figure di scriventi sono i notai e gli autori che sono essi stessi copisti delle proprie opere. Progressivamente rispetto al passato molti copisti acquisiranno maggiore consapevolezza di sé, attribuendosi fatiche e impegno per la riuscita del lavoro di copia.