“SCRIPTUS PER ME …”

Una selezione di sottoscrizioni di copisti dai manoscritti della Biblioteca comunale degli Intronati

Rossella De Pierro

Ms. F.III.3, c. 186v 

“Ego frater Stephanus infimus omnium monachorum monachus scripsi hunc librum cum iussione domni Petroni simplicissimi abbati primus fundator cenobii domini noster iesu christi circa […] atque XXum annum aetatis meę. In monastero eiusdem domini Salvatoris situs pagus quod insula nuncupatur. Imperante Henrico gratia dei imperator augusto anno vero imperii eius IIItio indictione XV. Ideo rogo vos omnes obnixę per quorum manibus liber iste versabitur ut intercedatis pro eum que hec fieri iussit atque mę infelicissimo ad Dominum Deum omnipotentem” (c. 186v).

Il codice F.III.3 contenente l’Ordo recitandi canones in Ecclesia Romana, sive Lectionarium Biblicum, è stato esemplato presso l’abbazia di San Salvatore a Isola vicino Siena nel 1017. Il copista, un monaco benedettino di nome Stephanus che si sottoscrive a c. 186v, definendosi infimus monachus omnium monachorum, offre numerose informazioni, quali il nome dell’abate alla cui iussio si deve l’esecuzione del codice, il luogo di copia, inoltre indirettamente fornisce la data di copia: Imperante Haenric(us) anno vero imperii eius III indictione XV, cioè il terzo anno dall’incoronazione di Enrico II, avvenuta nel 1014, quindi la copia è stata eseguita nel 1017. E ancora dal colophon emerge insolitamente un dato biografico, all’epoca il copista ha circa 20 anni. In ultimo Stephanus rivolge una preghiera per i posteri affinché intercedano per la salvezza della sua anima, la ricompensa spirituale per il lavoro compiuto.


K.V.10, c. 205v

“… Ego Marchus Iohannis de Bonanciis de Barbiano filius hanc scripsi tragediam et precedentes sub anno millesimo CCC LXXVIIII prima indictione et prima die decembris explevi” (c. 205v).

Maggiore coscienza di sé e del proprio impegno mostra Marco di Giovanni da Barbiano. Il copista, fissando nel tempo la conclusione della trascrizione delle Tragedie di Seneca nel ms. K.V.10 avvenuta il primo dicembre 1378 (c. 205v), sottolinea con orgoglio di essere responsabile della copia dell’intero manoscritto.

Ms. G.VII.40, c. 123r

Explicit tercius tractatus de sex trascendentibus eruditissimi viri Francisci de Prato fratris sacri ordinis predicatorum scriptus per me Simonem Angeli senensem Padue 1463 XII° kalendas ottobris” (c. 123r).

Ben più elaborata è la sottoscrizione frate domenicano Simone di Angelo Bocci da Siena (1438-1510) nel ms. G.VII.40 a c. 123r, uno zibaldone di testi scientifici e filosofici esemplato a Padova nel 1463 per uso personale, dove il copista sottoscrive via via la fine delle opere contenute nel manoscritto, specificando di volta in volta luogo, anno, mese e giorno.



Ms. F.V.9, c. 65v

“... scriptus et completus in civitate Perusii cum ibi cancellarius essem comunis dicti civitatis per me Matheum Vannoli Filippicti de Petrucianis de Interamnes sub Anno Domini MCCCCXXVI indi(c)tione quarta tempore pontificatus … die sabati VIII mensis iunii. Amen” (c. 65v).

Molti manoscritti tardomedievali sono opera di notai. È il caso di Matteo Petrucciani da Terni, padre di Ludovico docente di diritto presso lo Studio senese negli anni 1436-1448. Matteo, notaio che aveva ricoperto a lungo la carica di cancelliere presso il comune di Spoleto, termina di copiare sabato 8 giugno 1426 il ms. F.V.9, contenente, tra gli altri, il De Officiis ministrorum di s. Ambrogio, mentre sta svolgendo il suo incarico di cancelliere presso il Comune di Perugia (c.65v).





Ms. X.II.2, cc. 344v-345r

Explicit missale secundum usum curie romane scriptum ad istantiam reverendissimi in Christo Patris et Domini a miseratione divina tituli sancti Marcelli p(re)sbiteri cardinalis. Inceptum per me Antonium quondam Angeli de Burgo Sancti Sepulcri Anno Domini M°CCCC°XXVII° die VIII° iunii et completum die XXIX martii anni XX°VIII°. Deo gratias” (c. 344v-345r).

Indipendenti dal mondo ecclesiastico sono i tanti scriptores che dichiarano in maniera esplicita di aver scritto ad instanciam di un personaggio illustre. È il caso di Antonio di Angelo da Sansepolcro che trascrive tra l’8 giugno del 1427 e il 29 marzo del 1428, a istanza del cardinale Antonio Casini un Messale, lo splendido manoscritto X.II.2 cc. 344v-345r.


Ms. L.III.11, c. 79v

... scriptus per me Conradum de Alamaniam ad petitionem clarissimi artium et medicine doctoris Magistri Alexandri Sermonete senensis sub Anno Domini M°CCCC°LXIII° die vero XXIIIa mensis decembris Pio secundo existente Pontifice maximo” (c. 79v).

Altra figura di copista è costituita dagli studenti d’oltralpe che scrivono a prezzo per mantenersi agli studi; nell’ambito del fondo Manoscritti della biblioteca, lo studente-copista appartiene prevalentemente alla Nazione germanica. Corrado Tedesco (Alamannus o de Alamannia), allievo di Alessandro Sermoneta (1424-1487), trascrive a Siena tra il 23 dicembre 1462 e il 10 febbraio 1463 il ms. L.III.11, una miscellanea di testi filosofico-scientifici, ad petitionem clarissimi artium et medicine doctoris Magistri Alexandri Sermonete (c. 79v). Si deve invece alla mano dello stesso Sermoneta, medico di chiara fama e docente di filosofia e medicina a Siena, Perugia e Pisa, l’annotazione delle spese sostenute per la confezione del codice, costato l. 21 s. 14 d.6 (c. 135v).




Ms. I.VII.12, c.1v

Nicolò di Giovanni da Siena à fatto questo libro di sua propia mano e di sua spontana volontà. Ad virum egregio amicorum ottimum Nicholaus Iohanes Francisce Venture de Senis. Iste liber fecit Nicholaus Iohannes Francisce Venture de Senis anni Domini M CCCC IIII el quale à ffatto per non prestare” (c. 1v).

Niccolò di Giovanni Ventura (†1464) nel 1403 copia e illustra una copia della Storia di Troia, un volgarizzamento trecentesco a opera del fiorentino Filippo Ceffi dell’Historia destructionis Troiae di Guido dalle Colonne, il ms. I.VII.12, caratterizzato da più sottoscrizioni poste alcune nella parte iniziale del volume (c. 1v) e una nella parte finale (c. 89r).

Niccolò, iscritto nel Breve dell’arte de’ pittori senesi, di sicuro fece il pizzicaiolo, un venditore che insieme a salumi, mostarda e cera, vendeva anche carta e colori. Ma al tempo stesso è un copista e illustratore “per passione”: dichiara nella più breve sottoscrizione di destinare il libro a sé stesso. Niccolò ribadisce la centralità del proprio ruolo, copista e illustratore, attraverso l’ossessivo bisogno di ripetere il proprio nome, apposto nella sua forma latina e in quella volgare; ruolo accentuato ulteriormente dal fatto che si autoritrae, lasciando di sé un ricordo non solo verbale, ma anche visivo: il testo è preceduto dal suo autoritratto (c. 1v).


rid 09_I.VII.12_0185_carta-89r Ms. I.VII.12, c.89r

“Io Nicolò di Giovani da Siena facitore di questo pretioso libro nostante ch’io avessi alchuno disagio, com’è a la fragielità humana, ond’io fusse ritratto dell’opera e no llo avessi tratto a fine, ma io tanto mi studiai favoregiando la gratia de lo Spirito Santo che infra VI mesi, ciò fu a dì primo di sette(m)bre perfinono uttimo di feraio prossimo seguete nel MCCCCIII ... Aduque choriamo a quella gloriosa e benignia dolce Vergine Maria che cci ghuardi da ogni pericolo e metta pace tra·lle moderne criature, e salutalla dicendo “Ave Maria gratia plena Dominus ...”. Anco vi prego signori in cortesia che preghiate e crucifisso Idio, che per riconpraci sostenne passione, che perdoni a lo scrittore, se ofeso l’avessi per scrivare questo libro; poniamo ch’elli non à saputo meglio fare, per questa volta volio che mi perdoniate se male scritto fusse questo libro. In buona verità signori intendete che poi ch’a scrivare comincia’, ma delle cose grosse asai e male scritte ci sono, e io vi ringratio poi che di tanto udire m’avete fatto dono, per ifinita asacula aseculorum amen. Deo gratias amen” (c. 89r).

Dal lungo colophon (c. 89r) emerge con forza la grande consapevolezza di sé, sottolineando l’impegno e la fatica necessari per la riuscita dell’impresa per la cui realizzazione impiega sei mesi, dal 1 settembre 1402 all’ultimo di febbraio 1403, per poi mettere l’accento sulla qualità e sul valore di “questo pretioso libro”. Niccolò non è un professionista del libro, si preoccupa che la copia non abbia imperfezioni, scusandosi con i lettori per gli eventuali difetti della copia.

A.IV.5 27rv  

Ms. A.IV.5, c. 27rv

“Qui finisce la sconfitta di Monte Aperto Deo gratias Amen. Iscritta per me Nicolò di Giovanni di Francesco Venture da Siena, e finila a dì primo di dicenbre MCCCCXLIII” (c. 27r).

“Nel MCCCCXLIII di l[ulio fu] finito tutto questo libro d[i dipegne]re, le quali dipenture [fece e vi] pose e’ colori tutte qu[........] Nicholò di Giovanni di Fr[ancesco Venture] da Siena detto …” (c. 27v).

Allo stesso copista si deve la trascrizione di un’importante narrazione della battaglia di Montaperti, realizzata circa circa ventanni dopo, il ms. A.IV.5. Il codice offre due brevi colophon a c. 27r e 27v in cui si limita a dichiarare il nome del copista/illustratore e le date di conclusione del lavoro. Niccolò tiene a sottolineare di essere responsabile di ambedue le fasi di realizzazione del libro – scrittura e illustrazione – dedicando a ciascuna una specifica sottoscrizione: sottolinea così il suo aver realizzato in proprio un libro illustrato, prodotto che normalmente richiede l’intervento di almeno due professionalità, il copista e il miniatore. Stando alle sue parole, nel luglio del 1443 Niccolò avrebbe completato le illustrazioni, mentre nel dicembre dello stesso anno avrebbe portato a termine la stesura del testo.

Prima dell’invenzione della stampa l’attività di copia dei manoscritti era legata alla figura del copista. Il colophon, o sottoscrizione, termini di norma usati indifferentemente come sinonimi, è il breve testo con cui lo scriba conclude il proprio lavoro di trascrizione: poche parole per lasciare una traccia di sé.

La consuetudine di dire qualcosa di attinente alla propria personalità o alle condizioni materiali in cui svolge il lavoro di copia, sottolineando la fatica dello scrivere, è un fenomeno osservabile lungo tutta la storia del libro manoscritto.

Il colophon consiste in una breve formula di chiusura del testo con cui vengono trasmessi pensieri e stati d’animo; in numerosi casi la sottoscrizione può essere concepita dallo scriba in maniera libera e indipendente, dichiarando ciò che in quel momento egli ritiene opportuno. Le informazioni offerte sono molteplici: indicazione del momento e del luogo della copia, del proprio nome, di alcuni dati biografici personali. È anche possibile che l’amanuense richiami vicende relative al momento storico in cui opera, non di rado chiede una ricompensa spirituale o materiale.

La sottoscrizione può essere variamente organizzata: a volte è introdotta o scandita da segni di paragrafo, oppure si presenta in lettere di modulo maggiore rispetto al resto del testo, può essere arricchita con motivi decorativi, oppure scritta in inchiostro colorato.

Identità dei copisti

Nell’Alto Medioevo i copisti appartengono ad ambienti religiosi, operano nell’anonimato in scriptoria collettivi all’interno dei monasteri dove il lavoro di copia, attività avvolta da un’aura di sacralità, è svolto come obbligo (talvolta come punizione), è un esercizio spirituale. I colofoni si caratterizzano per il contenuto esclusivamente religioso; le parole con cui lo scriba chiude la trascrizione sottolineano la fatica del lavoro di copia, nell'ambire al premio ultraterreno, quello della vita eterna. A malapena il copista menziona il proprio nome: quando si tratta di un monaco, affidare il proprio ai posteri è un segno di immodestia, pena la perdita del merito e della ricompensa spirituale. Qualora il monaco decida di apporre il proprio nome, sente anche la necessità di aggiungere che è un peccatore, un monaco indegno.

Con il tempo l’attività di copia non è più solo appannaggio dei religiosi: sulla scena dei produttori e dei fruitori della scrittura si affermano altre figure di scriventi. Il copista diventa un professionista, un artigiano della scrittura: si moltiplicano i copisti laici e a prezzo; inoltre compare il “copista per passione”, una persona che decide di scrivere da sé i libri che desidera leggere e possedere. Sotto questa etichetta sono accomunate figure diverse tra loro: l’intellettuale che si dedica all’attività di copia per ampliare la propria biblioteca personale, gli studenti o i professori universitari che cercano e copiano i testi per i loro interessi specifici. Atre  figure di scriventi sono gli artigiani o i mercanti, i notai e gli autori che sono essi stessi copisti delle proprie opere. Progressivamente rispetto al passato molti copisti acquisiranno maggiore consapevolezza di sé, attribuendosi fatiche e impegno per la riuscita del lavoro di copia.

Bibliografia

Albert Derolez, Pourquoi les copistes signaient-ils leurs manuscrits?, in Scribi e colofoni: le sottoscrizioni dei copisti dalle origini all’avvento della stampa, Atti del seminario di Erice, X Colloquio del Comité internazional de paléographie latine (23-28 ottobre 1993), a cura di E. Condello e G. De Gregorio, Spoleto, Centro di Studi sull’alto Medioevo, c1995, pp. 37-56; Ezio Ornato, Libri e colofoni. Qualche considerazione, in «Gazette du livre médiéval», 42 (2003), pp. 24-35; Nicoletta Giovè, I copisti dei manoscritti datati, in «Aevum», 82/2 (2008), pp. 523-540; Marco Palma, Forme e funzioni del colophon nel libro manoscritto e a stampa del XV secolo, in Imago librorum. Mille anni di forme del libro in Europa, a cura di E. Barbieri, Firenze, Olschki, 2021, pp. 225-234.