"Tempus tantum nostrum est"

Calendari, mesi e segni zodiacali nei manoscritti della Biblioteca

Silvia Nerucci

Ms. H.VI.31, carta 84r

“Niente ci appartiene, soltanto il tempo è nostro”, scriveva Seneca all’amico Lucilio (Epistulae morales ad Lucilium, I, 1.2).
Misurare e dominare il tempo, nonostante la sua fugacità – o forse proprio in virtù di questa –, è un bisogno profondo che da sempre appartiene all’essere umano.

Il calendario, sistema convenzionale di rappresentazione del tempo diffuso presso tutte le culture, scandisce e racconta le stagioni della vita dell’uomo e della società; rappresenta una forma di sapere e al tempo stesso di potere: individua, infatti, i periodi in cui compiere determinati lavori agricoli, collegandosi quindi alla vita economica e sociale e diventandone strumento insostituibile; inoltre, raccoglie e ricorda le date delle feste religiose, così come, in epoca romana, distingueva i giorni fasti dai nefasti, giorni nei quali era permesso – o proibito – amministrare la giustizia oppure svolgere, o meno, attività lavorative o militari.
Il calendario è, quindi, un “luogo” che accoglie sia il tempo naturale, con le occupazioni a lui collegate, sia il tempo dell’uomo con i suoi bisogni culturali.

Il tempo naturale scaturisce dall’osservazione del cielo e delle sue principali stelle, sole e luna – il giorno e la notte –, creati da Dio il quarto giorno: “De opere quarte diei scilicet quomodo deus posuit in celo solem et lunam et stellas”, come testimonia il manoscritto H.VI.31[3], il Tractatus de creatione mundi, alla carta 84r.
Nella Genesi si aggiunge anche: “Dio disse: vi siano delle luci nel firmamento del cielo per distinguere il giorno e la notte e siano come segni per le feste, per i giorni e per gli anni” (Genesi, I, 14-19).
luminaria in cielo, quindi, sono stati creati sia per essere dei “segni per le feste”, quindi per la religione, sia “per i giorni e per gli anni”, ossia per un calendario che, pertanto, esisteva addirittura prima della creazione dell’uomo. Il codice, che rappresenta una delle più importanti testimonianze della miniatura senese della fine del XIII secolo, fu illustrato da un raffinato artista senese, identificabile probabilmente con Guido di Graziano, la cui opera, in questo manoscritto, si caratterizza per un’originale sintesi tra l’acquerello e la miniatura.


Ms. H.VI.31[3], carta 97r e carta 98r

Tempo naturale e tempo del lavoro

Dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso (“Quomo deus emisit Adam et Evam de paradiso”, H.VI.31[3], c. 97r) il tempo non scandisce più soltanto il ritmo delle feste, l’alternanza tra il giorno e la notte, tra il sonno e la veglia, ma anche il ritmo del lavoro umano. L’uomo che si è macchiato del peccato originale, infatti, è condannato da Dio a lavorare (H.VI.31[3], c. 98r). Calendario e lavori agricoli, tuttavia, sono sempre stati intimamente legati, si pensi al poema di Esiodo Le opere e i giorni, che può essere considerato una sorta di calendario in versi. Sarà proprio questo profondo legame, quello tra tempo naturale e tempo del lavoro, a giocare un ruolo essenziale, anche dal punto di vista illustrativo, nei calendari medievali.


Ms. F.VII.26, carta 9r

La rappresentazione dei lavori agricoli è un tratto distintivo dei calendari medievali e varie sono le testimonianze di questa peculiarità conservate in Biblioteca; i calendari, infatti, precedono solitamente libri d’ore, messali e altri testi di natura liturgica e religiosa in generale. Come nel caso del manoscritto F.VII.26 – un libro d’ore di provenienza francese databile tra il 1440 e il 1460 – nel quale, nella carta dedicata al mese di settembre, è raffigurata una scena di vendemmia, più precisamente di pigiatura dell’uva. Nei calendari si concretizza, così, quell’unione, già concettualmente presente nell’antichità, tra lavori agricoli, calendario delle feste e del calendario celeste.

Ms. X.IV.2, carta 6v

Tra le attività del mondo rurale più importanti, e costantemente rappresentata nei calendari, vi è sicuramente l’uccisione e la macellazione del maiale, vera e propria “dispensa” per le famiglie – non solo contadine – e indispensabile garanzia di proteine e di grassi a cui attingere durante tutto l’anno. La carta 6v del manoscritto X.IV.2 descrive proprio questo momento dell’anno, che vede la macellazione, in questo caso, di un esemplare di cinta senese. Il codice X.IV.2, da cui la scena è tratta, è un breviario dalla preziosa legatura in velluto rosso con rosoni d’argento e nielli, appartenuto in origine alle Clarisse di Maggiano e proveniente dal monastero di Santa Chiara a Siena, il cui apparato illustrativo, databile agli anni intorno al 1441, è attribuito al pittore senese Sano di Pietro e alla sua bottega.

Ms. X.V.1, carta 4v e carta 5r

Il pane è alla base della piramide alimentare; i calendari quasi sempre rappresentano le attività collegate alla cerealicoltura, come nel caso del manoscritto X.V.1, raffinatissimo codice di provenienza borgognona databile al terzo quarto del ’400. I mesi di luglio e agosto (cc. 4v-5r), infatti, raffigurano, rispettivamente, la mietitura e la battitura del grano. Nei calendari italiani questo tipo di lavori è rappresentato solitamente nei mesi di giugno e luglio; lo scarto di un mese rispetto ai calendari francesi, e più in generale a quelli del nord Europa, è senz’altro dovuto alle differenze climatiche tra le due aree. Il codice X.V.1 reca anche un’altra particolarità: ad accompagnare il calendario con i lavori agricoli tipici dei mesi sono rappresentati anche i segni zodiacali. In un’unica composizione, quindi, sono riunite una raffigurazione colta e antica (lo zodiaco) e una rappresentazione popolare che racconta il presente (i lavori dei mesi), ovvero un’immagine del cielo e una della terra.

Ms. X.IV.2, carta 3r

Ci sono alcuni mesi, tuttavia, come quelli primaverili di aprile e maggio, che presentano una particolarità: spesso, infatti, nella loro rappresentazione, non sono raffigurate le attività agricole tipiche del periodo. Come nel caso del manoscritto X.IV.2, nel quale, alla carta 3r, sono raffigurati, a destra, un cavaliere con un falchetto sul braccio che si avvia alla caccia e a sinistra due ragazzi di fronte alla porta di una casa, forse pronti a “cantare il maggio”, stringendo tra le mani l’“arboscello” o “bruscello”. Proprio con il termine “bruscello” in Toscana, e particolarmente nel Senese, si indica una forma di teatro popolare, ancora oggi esistente, nella quale i “bruscellanti” si muovevano in corteo nelle campagne per raggiungere il podere che aveva organizzato lo spettacolo, tenendo bene in vista un ramoscello (“bruscello”), intorno al quale spesso era allestita la rappresentazione.

Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est

(Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, I, 1.2)