"Finit hic liber"

Il colophon nei testi a stampa della Biblioteca digitale

Katia Cestelli

Il colophon è una formula, posta alla fine di una pubblicazione, in cui si trovano indicazioni riguardanti la stampa, come il nome dello stampatore, spesso accompagnato dall’indicazione della patria d’origine, il luogo e la data di stampa, talvolta notizie sull’editore, l’insegna dello stampatore o dell’editore.

Il più antico colophon attestato si trova nello Psalterium impresso a Magonza nel 1457 da Fust e Schöffer, gli stessi che tra il 1453 e il 1455 stamparono insieme a Gutenberg la «Bibbia a 42 linee». Per l’Italia, invece, il primo testo a riportare in fine il luogo e la data di conclusione della stampa è una raccolta di opere di Lattanzio, stampata nel Monastero di Subiaco nel 1465 da Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz, i due monaci tedeschi che introdussero l’arte tipografica nella penisola italiana.

La tipologia del colophon deriva dalle sottoscrizioni apposte dai copisti nei manoscritti medievali a conclusione della propria opera di copiatura, nelle quali l’amanuense indicava il proprio nome, il luogo, la data, il nome del committente. Nelle edizioni a stampa il colophon è presente in pubblicazioni prevalentemente del XV e XVI secolo e oltre, supplendo per la fase più antica quasi completamente al frontespizio, ancora inesistente. Nella sua forma più completa, infatti, il colophon indica, oltre alle note tipografiche, anche il nome dell’autore e il titolo dell’opera e può contenere formule, più direttamente derivanti dalla sottoscrizione dei manoscritti, attraverso cui il tipografo comunica il concludersi della sua fatica spesso lodando e ringraziando per l’aiuto divino. Comuni, soprattutto nel periodo più antico, sono anche espressioni che esaltano l’invenzione della stampa e frasi di elogio nei confronti dell’autore, dell’opera, dei curatori e dei commentatori, indubbiamente connesse a un interesse di propaganda pubblicitaria, oltre a dichiarazioni relative alla correttezza filologica e tipografica dell’edizione. Tipograficamente i colophon più antichi hanno offerto anche un modello di composizione tipografica per il futuro frontespizio, presentandosi frequentemente in forma trapezoidale, con la base minore in basso, oppure triangolare con il vertice in questa stessa posizione. Con l’affermarsi e lo stabilizzarsi del frontespizio, nel corso del XVI secolo, il colophon tende sempre più a rimanere luogo di competenza del tipografo, mentre il frontespizio ospiterà generalmente le informazioni sull’editore/libraio.

Antonio Bettini, Monte Santo di Dio, Firenze, Niccolò di Lorenzo della Magna, 1477, carta r4r, collocazione M V 015

Nel 1477 Niccolò di Lorenzo della Magna stampò a Firenze il Monte Santo di Dio, opera devozionale in volgare del senese Antonio Bettini, padre gesuato, nominato vescovo di Foligno da papa Pio II nel 1461. L’edizione è famosa soprattutto perché è la prima con illustrazioni incise tratte da matrici in rame intagliate a bulino. A quel momento, infatti, per l’illustrazione delle pubblicazioni a stampa erano comunemente impiegate le xilografie, ovvero incisioni tratte da matrici in legno intagliate a rilievo. Le illustrazioni calcografiche che decorano il Monte Santo di Dio, attribuite all’incisore fiorentino Baccio Baldini, che le avrebbe realizzate su disegno del grande pittore rinascimentale Sandro Botticelli, sono tre, due incisioni a piena pagina e una a mezza pagina, e raffigurano rispettivamente: il monte per cui si ascende a Dio, Gesù Cristo in mandorla adorato da angeli e Lucifero trifronte. Nel colophon (“finito elmonte sancto didio perme Nicolo dilorenzo dellamagna | FLORENTIE X. DIE. MENSIS SEPTEMBRIS | ANNO DOMINI. M.CCCCLXXVII”), apposto in calce al recto dell’ultima carta (carta r4r), lo stampatore annuncia il concludersi della sua fatica tipografica, aggiungendo di seguito le indicazioni del luogo e della data di compimento della stampa, con le indicazioni del mese e del giorno. A livello tipografico questa tipologia di composizione del colophon (un trapezio con la base minore in basso) sarà spesso riproposta nei futuri frontespizi, introdotti nelle opere a stampa solo a partire dall’inizio del XVI secolo.

Dante Alighieri, Divina commedia, Firenze, Niccolò di Lorenzo della Magna, 1481, carta L10v, collocazione P I 027

Un’altra delle più antiche edizioni a stampa decorate da incisioni calcografiche è il commento di Cristoforo Landino sulla Commedia di Dante, impresso a Firenze nel 1481 da Niccolò di Lorenzo della Magna. L’edizione è illustrata da vignette ispirate dal testo della Commedia, intagliate su rame a bulino sempre dall’incisore fiorentino Baccio Baldini su disegno di Sandro Botticelli. Le illustrazioni avrebbero dovuto essere in numero pari a quello dei canti dell’opera, ma ne furono realizzate soltanto 19. Le prime due, realizzate probabilmente entro il 1484 (datazione desunta da una lettera allegata a una copia di dedica a Bernardo Bembo), furono stampate sulla stessa carta del testo, mentre le seguenti 17 furono impresse successivamente su fogli separati, ritagliate e poi incollate alla stampa. La produzione dei bulini si interruppe comunque entro il 1487, anno di morte di Baldini e anno di stampa della Commedia di Brescia di Bonino Bonini, ornata con 68 xilografie che, per confronto iconografico, presuppongono lo studio delle incisioni di Baldini. Non tutte le 180 copie superstiti dell’edizione del 1481 conservano la serie completa delle 19 incisioni, ci sono addirittura esemplari senza alcuna illustrazione. L’esemplare P I 027 della Biblioteca comunale degli Intronati ne conserva ben 18 a corredo del testo dei canti I-IX e XI-XIX dell'Inferno. Secondo un modello di composizione tipografica largamente diffuso, al centro dell'ultima carta stampata dell'edizione (carta L10v), troviamo il colophon, che, oltre alle note tipografiche dettagliate, contiene indicazioni particolareggiate sull’opera e un’espressione di elogio indirizzata all’Alighieri: “FINE DEL COMENTO DI CHRISTO | PHORO LANDINO FIOREN | TINO SOPRA LA COMEDIA DI DAN | THE POETA EXCELLENTIS | SIMO.ET IMPRESSO IN FIRENZE | PER NICHOLO DI LORENZO | DELLA MAGNA A DI .XXX. DA | GOSTO.M.CCCC.LXXXI”.

Hieronymus, santo, Epistolae, Ferrara, Lorenzo de’ Rossi, 1497, carta N3r, collocazione M II 018

Nel 1497 il tipografo Lorenzo de’ Rossi concluse a Ferrara la stampa dell’edizione in italiano delle Epistolae di San Girolamo, opera notabile per la presenza di numerose ed eleganti vignette xilografiche intervallate al testo e di elaborate cornici figurate. L’edizione, inoltre, è un caso bibliografico interessante per l’esistenza di più varianti in corrispondenza della carta a1v. Numerose copie, infatti, presentano in questa pagina una xilografia raffigurante San Girolamo che scrive, mentre in altre copie figurano epigrafi dedicatorie a Ercole d'Este (datata 1494), Eleonora d'Aragona d'Este (datata 1495) o Agostino Barbadico (datata 1495). L’esemplare della Biblioteca comunale degli Intronati M II 018 presenta in questo luogo della pubblicazione la dedica a Eleonora d'Aragona d’Este. Il colophon, impresso nella prima colonna della carta N3r, in cui è presente anche la marca editoriale con le iniziali del tipografo “L.R.V.” e le effigi dei santi Girolamo e Agostino, è lungo e articolato: “Impressa e la presente opera cosi con dili | gentia emendata como di iocunde caracte | re & figure ornata ne la inclita & florentis | sima cita de Ferrara: per Maestro Lorenzo | di Rossi da Valenza :ne gli anni de la salu | te del mundo. M.CCCC.XCVII. A di. xii. | de Octobre. Regnante & iuridicamente | & cum humanita el felice & religiosissimo | Principe messer Hercule Estense Duca se- | cundo. Spechio de infrangibile fede”. Dopo un’espressione “pubblicitaria” di elogio circa l’accuratezza filologica e tipografica dell’edizione e la bellezza della stampa, è dunque evidenziata con particolare enfasi la presenza delle illustrazioni. Il discorso prosegue con la celebrazione della città in cui la pubblicazione è stata realizzata, Ferrara, seguita dalle informazioni sullo stampatore, il cui nome è seguito dall’indicazione della patria d’origine, e dalla data di stampa con il riferimento al mese e al giorno. Infine, dopo le lodi della città, vi sono quelle per il suo governante, il duca Ercole I d'Este (1431-1505), secondo duca di Ferrara, Modena e Reggio, uno dei principali mecenati e uomini di cultura del Rinascimento.

Urbano Bolzanio, Institutiones Graecae grammatices, Venezia, Aldo Manuzio, 1497-98, carta B10r, collocazione O V 043

Nel 1498 Aldo Manuzio stampò a Venezia la grammatica greca compilata dal francescano bellunese Urbano Dalle Fosse, poi conosciuto come Bolzanio, che fu anche collaboratore presso l’officina di Aldo in qualità di revisore di testi. Si tratta della prima grammatica greca scritta in latino e non tradotta dal greco e inoltre della prima composta non da un greco, ma da un umanista italiano. L’opera ebbe un grande successo, tanto da essere oggetto nel corso del Cinquecento di ventuno edizioni, dodici delle quali pubblicate in Italia. Il colophon dell’edizione aldina (“Venetiis in ædibus Aldi Manutii Romani. M. IIID. | mense Ianuario. | Impetrauit ab. Ill. S. V. & in hoc quod in cæteris suis”), stampato al centro della carta B10r, menziona canonicamente il luogo di stampa, il nome dello stampatore, accompagnato dall’indicazione della patria d’origine, e la data di stampa con l’indicazione del mese e del giorno (secondo lo stile veneto per cui l’inizio dell’anno era posticipato al primo marzo e quindi per i mesi di gennaio e febbraio deve essere computato un anno in più). Segue una frase relativa al permesso di stampa ottenuto dal Senato Veneto. Simili espressioni relative a privilegi, imprimatur, licenze, permessi, ottenuti da un’autorità civile o religiosa, sono un elemento frequente nei colophon delle opere a stampa.

Caterina da Siena, santa, Epistole, Venezia, Aldo Manuzio, 15 settembre 1500, carta FF8r, collocazione R III 004

Nel settembre del 1500 lo stesso Aldo Manuzio stampò a Venezia le Epistole di santa Caterina da Siena. L’edizione è nota per essere la prima opera a stampa in cui compare il carattere corsivo dell'alfabeto latino, una delle più importanti e fortunate innovazioni tecniche introdotte in tipografia da Manuzio insieme con l’incisore Francesco Griffo da Bologna, suo abituale collaboratore. La nuova tipologia grafica, che per imitazione si ispirava alla scrittura cancelleresca, così detta perché utilizzata presso le cancellerie del tempo, rapida e leggermente inclinata, è impiegata nell’unica xilografia del volume, alla carta *10v, per comporre la frase “Jesu dolce Jesu amore”, riportata in un libretto sorretto dalla santa con la mano destra, e per il nome “Jesus”, inscritto in un cuore fiammeggiante sostenuto con la sinistra. Si ritiene che l’uso del corsivo in questa edizione sia una specie di prova. L’anno successivo (1501) con il primo tascabile in ottavo, il Vergilius, stampato interamente in corsivo, Aldo darà inizio a una serie di pubblicazioni di classici latini di piccolo formato, senza note e commento, impressi con il nuovo carattere, per l'uso esclusivo del quale fece richiesta di un privilegio al governo veneziano. L'opera si caratterizza anche per essere uno dei primi libri in cui è presente una numerazione a stampa per fogli fra l'altro in cifre romane. Il colophon, stampato sul recto dell’ultima carta della pubblicazione (carta FF8r), al centro della pagina dopo il registro, si apre con un’espressione di elogio nei confronti della città in cui è stata realizzata la stampa: “Stampato in la Inclita Cita de Venetia in Casa De Aldo Manutio | Romano a di xv.Septembrio.M.ccccc”. Tali esternazioni non erano dettate ai tipografi solo da un sentimento di attaccamento verso le città in cui esercitavano la propria attività, ma erano anche funzionali a sollecitare l’orgoglio civico di potenziali acquirenti, mecenati e protettori della propria arte.

Bibliografia

Lorenzo Baldacchini, Il libro antico. Storia, diffusione e descrizione, Roma, Carocci, 20193, pp. 153-159; Bibliotheca selecta. Manoscritti. Incunaboli, disegni e stampe della Biblioteca comunale degli Intronati, a cura di Annalisa Pezzo, Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Istituzione del Comune di Siena, 2014; Martin Davies − Neil Harris, Aldo Manuzio. L'uomo, l'editore, il mito, Roma, Carocci, 2019; Alessandro Marzio Magno, L’inventore di libri. Aldo Manuzio, Venezia e il suo tempo, Bari-Roma, Laterza, 2020; Giuseppina Zappella, Il libro antico a stampa, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, pp. 538-558.

Il colophon è una formula posta alla fine di una pubblicazione, in cui si trovano indicazioni riguardanti la stampa e non solo. Presente nelle pubblicazioni del XV-XVI secolo e oltre, nella fase più antica dell'arte tipografica supplisce per molti aspetti al futuro frontespizio, di cui ispirerà contenuti e forma.